Cerco di vivere semplicemente, eppure sono circondato da oggetti, sommerso. Mi sono guardato intorno un giorno e mi sono chiesto: “di tutte queste cose, cos’è ‘mio’?”. Alcune cose le possiedo perché le ho acquistate, le ho scambiate con un po’ di denaro, con il tempo passato in silenzio a lavorare. Le ho scelte, indicate, cliccate e le ho legate a me. Altre le ho ricevute in regalo per un’occasione speciale: una lampada di sale per la Laurea, un porcellino di terracotta ad un compleanno, delle lenzuola effigiate con la Union Jack per un compleanno, un maglione dal Cile in un Natale lontano.
Tengo queste ultime cose, in particolare, con speciale affetto, anche se alcune non le uso neanche più. Sono la mia forza e il mio amuleto contro gli sguardi cattivi. Ovunque io vada sono la mia casa. Le ho scartate e ho ringraziato. È così che le ho possedute.
Ma c’è una cosa che possiedo più di ogni altra: un divano a righe bianche e gialle.
È nel salone e ogni giorno mi accoglie al ritorno dal lavoro, che io abbia vinto o rincasi sconfitto, mi abbraccia con lentezza. Rispetto alle altre cose che ho, il mio divano ha una storia sua. Una storia che ha avuto prima di essere mio. Una storia di cui ho fatto parte sul finale, come l’ultimo attore a entrare in scena, che recita meno, ma prende comunque tutti gli applausi. E lui è il mio applauso.
L’ho pagato con una moneta speciale: le parole, i ricordi, pranzi in giardino, confessioni, bisticci, abbracci, rivelazioni, dubbi. Sono andato a prendermelo e staccarlo dalla sua radice, dal portico della casa in cui ha dimorato per anni e l’ho portato via con il consenso dei suoi precedenti proprietari e forse anche un sorriso buono dal cielo.
È un divano viaggiante, il mio. Ho visto foto che lo ritraggono, in un tempo in cui ancora non lo avevo neppure ancora mai sfiorato, circondato dai volti di chi me l’ha concesso in dono, con generosità e fiducia. E lui con me ci è venuto, sereno e rassicurato. Anche noi due abbiamo fatto qualche piccolo trasloco. Insieme abbiamo sognato in qualche caldo pomeriggio estivo e ci siamo svegliati di soprassalto nel mezzo di un incubo, nel cuore della notte. Mi ci sono seduto arrabbiato, felice e sconsolato. “Come si dorme bene sul quel divano!” è la benedizione eterna che porto con me nel salone. Una magia fatta di ricordi non miei e nuovi ricordi da costruire.
Sarò certo testardo, incoerente, intollerante, verboso, emotivo, impulsivo; avrò fatto tanti errori; avrà pianto, si sarà preoccupato, arrabbiato, intristito più di qualcuno, più di una volta, per causa mia. Epperò, almeno una volta nella vita, senza dover celebrare nessuna occasione, oltre ogni schema, io ho meritato di portare via e custodire i ricordi di un divano di famiglia. Oggi scandisce tutti i miei giorni, è il mio destriero e io il suo cavaliere. La mia armatura è il mio pigiama e la mia arma più potente è il ricordo di quel giorno in cui l’ho preso sulle spalle e l’ho portato per sognare mille nuovi ricordi.
Quando qualcosa è nostro, diventiamo suoi e non c’è più possessore e possedimento, ma si diventa una storia comune e, un giorno, molte storie da raccontare.