Mi piace sentirmi alternativo, più o meno quanto ogni altra persona. E come ogni altra persona, faccio alcune cose appositamente per storto.
Quando bevo il caffè non prendo la tazzina per il manico, mi scotto e mi incazzo, ma mi sento vivo.
Al ristorante, soprattutto se è uno di quelli con la puzza sotto al naso, ordino una Fanta. E se non ce l’hanno, sono io a storcere il mio.
Non ho un letto, dormo su un divano.
Ho visto Creta con la neve e i Carpazi in una calda giornata d’estate.
Porto l’orologio a destra.
Entro spesso in chiesa, ma poco all’ora della messa.
Porto le scarpe qualche numero più grandi del necessario, perché non mi piace sentire la tomaia che stringe le dita.
Sono cresciuto accanto al mare, ma non ci vado mai. Proprio mai.

Poi mi rendo conto che faccio alcune cose al contrario sapendo di farlo; che dentro ce l’ho al verso giusto quelle cose…che allora è tutta una storia da guardare dal di fuori e vale quel che vale. Ma il mio letto è così comodo perché per essere un divano è il divano più comodo del mondo. Ogni giorno mi ospito sul divano e ogni giorno sono accolto come ospite su un divano assai comodo su cui dormire. Ogni caffè preso è una sfida vinta contro il caldo, un sorso che scotta sulla pelle e che resta.

Così, in vacanza, mi ha dato un sorso di vita vedere il galoppo di una mucca. Lo sforzo che non è il tuo. La vita che fa un salto in te. Verso la luce o verso il buio, non importa cosa porti, ma è qualcosa che sa di stridore e di sbieco e di ultimo minuto. E ti fa sentire…fiù…salvo per un pelo.

Accanto alle placide mucche ruminanti e pesanti, quella si è sollevata da terra -appena qualche centimetro, lo ammetto- ed è stato come vederla volare. Alcune cose non te le aspetti e accadono comunque e senti di non essere niente: i tuoi calcoli, le cose del mondo che pensi di sapere, di conoscere, di saper leggere. Alcuni gesti non sai prenderli, spuntano dagli angoli della strada come uno sconosciuto che ti torna alla mente. E senti che tutta quella piccolezza ti fa stare comodo nel mondo, che sei il pezzo giusto per il vuoto lasciato.

È vero però che non tutto illumina allo stesso modo. Nelle crepe del mondo si nascondono strane bestie. Accanto all’amata vacca -volevo baciarla, tanto era bella- si ergeva enorme, cattiva e puntuta un’armatura di ferracci lucidati, alti fino al cielo, con cannoni e ganci e cavi e funi e travi e carrucole e motori e rigagnoli di liquidi bollenti: un’impianto da sci addormentato, nel culmine dell’estate. Come un mostro incantato da un intruglio impastato dalle arniche, le primule, gli Edelweiss e le ortiche del bosco. In incanto sicuro, certo, indissolubile, fino all’arrivo della stagione del gelo. Tanta potenza, altezza, rotazione e tanto slancio annientati dal caldo pacioso delle erbe secche e scottate che cantano assopite una ninna nanna cimbra.

Ci aspettiamo che accada, ci aspettiamo che non accada. Ci aspettiamo che lei ci sia, che nella stanza ci sia un letto, che l’orologio sia su un polso invece che su un altro. Che il rosa sappia di fragola. Che le cose pesanti stiano a terra e le cose enormi non si stanchino mai di macinare la propria forza. Mentre il mondo, all’oscuro delle nostre aspettative, compie i suoi artifici con fare sereno e si burla dei nostri pensieri muti.